Dalla paura alla speranza

Pubblicato il: 11/03/22 12:28 AM

Sistema per i tempi di guerra

Dopo l’attacco giapponese di Pearl Harbour, la borsa americana perse l’11%. Un anno dopo era ad un più 4% rispetto al giorno precedente al bombardamento.

La guerra è una variabile critica dei mercati, ma in misura e tempi diversi rispetto alla paura e allo sgomento che coglie chiunque guardando le immagini terribili degli scenari bellici.

Intendo dire, che i mercati reagiscono alle guerre in modo estremamente più cinico di quello che può essere l’impatto sui singoli individui e comunque con fasi temporali diverse rispetto alla stessa percezione della guerra.

Attualmente, il mercato azionario europeo è quello che maggiormente è stato devastato dalla crisi in Ucraina. I titoli azionari dell’eurozona hanno un prezzo mediamente inferiore del 30% rispetto agli obiettivi dati dagli analisti a 12 mesi.

Il gap fra azioni europee e azioni americane si sta ingigantendo, avendo raggiunto livelli minimi di valutazione che non si vedevano da almeno 30 anni. Era accaduto, l’ultima volta, durante la crisi finanziaria dell’eurozona nel 2011.

Ciò che stanno prezzando i mercati non è la guerra in sé.

Non c’è una esplosione di volatilità implicita così significativa sul mercato delle opzioni, perché i mercati in realtà non stanno prezzando il rischio di un allargamento del conflitto, rischio giudicato al momento irrilevante, quanto piuttosto l’effetto tendenziale recessivo di ritorno sull’economia europea delle sanzioni.

Le conseguenze sulle borse americane dell’evento di Pearl Harbour, di gran lunga più catastrofico per il mercato azionario rispetto alla guerra in Ucraina, è un esempio significativo di come i mercati reagiscano in modo anticipato rispetto alla fine degli eventi bellici, quando ancora i rischi rimangono relativamente elevati.

Il rimbalzo poderoso che abbiamo visto sui mercati l’altro ieri, seguito dal ritracciamento di ieri che ha rimangiato una parte del recupero, è il sintomo evidente che per passare dalla paura alla speranza, come avevamo già anticipato nei giorni precedenti, sarebbe bastato un segnale anche debole di qualsiasi progresso nei negoziati politici o diplomatici.

La notizia dell’incontro in Turchia dei ministri degli esteri di Ucraina e Turchia ha acceso quella speranza. Il New York Times di ieri, pubblicando un po’ prima delle 12 ora italiana il sostanziale fallimento dei negoziati ha gelato l’entusiasmo, ma non fino al punto di non lasciare accesa una blanda speranza di possibile risoluzione.

Le immagini diffuse dell’inizio del negoziato con quel tavolo che vedeva contrapposti le rispettive parti politiche con la mediazione della Turchia erano tristissime.

Lavrov, ministro degli esteri russo, che scriveva o fingeva di scrivere per prendere non si sa bene quali appunti, visto che ancora la discussione non era iniziata, semplicemente per evitare di alzare lo sguardo, era a mio avviso l’indizio più significativo che anticipava a priori un fallimento del negoziato.

L’immagine disgustosa di uno squallido burocrate ancora in vita di un impero, quello sovietico, che non esiste più.

Rimango dell’idea che il mercato aspetta un messaggio, anche minimo, per ripartire, nel breve termine. Non so se il rimbalzo si è già esaurito, ma da come si è comportato ieri il mercato, credo possa durare ancora un po’, sia pure con qualche difficoltà, che risulta evidente guardando gli strappi su e giù che condizionano le fasi di negoziazione.

La via verso aprile potrebbe essere, forse, più positiva di quello che ci aspettiamo.

Di sicuro, il momento attuale di mercato fa prediligere operazioni di breve termine, con minima esposizione di rischio di durata.

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Maurizio Monti
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