Intel: nubi grigie sul mercato dei semiconduttori

Pubblicato il: 19/10/23 12:05 PM

Shock in borsa.

Pat Gelsinger è l’amministratore delegato di Intel dal 2021.


Se hai posseduto un computer, hai una probabilità elevatissima di avere visto una etichetta su quel computer, che ti informava di avere al suo interno un processore Intel.

Il titolo è quotato al Nasdaq e ha vissuto i suoi anni migliori prima del Covid: il massimo della sua storia recente fu registrato il 24 gennaio del 2020 a 69.29.


Dopo il grande crollo del Covid, il titolo ha dimostrato ancora vitalità riprendendo il massimo il 12 aprile del 2021 a 68.49, meno di un punto sotto il massimo precedente.

Da quel momento, per il titolo c’è stata una continua perdita di valore, che si è accelerata nel 2022.

Il 13 ottobre del 2022, il giorno del grande minimo dell’S&P500 a 3502, il titolo ha visto il minimo a 24.59, e dopo un rimbalzo lo ha doppiato a 24.73, il giorno 28 febbraio del 2023.

Da quella data, è in fase di ripresa, ha superato la sua media mobile a 200 periodi, e viaggia ora intorno ai 35 dollari.

Gelsinger è stato invitato nella giornata di martedì 17 ottobre all’Economic Club di New York, dove ha fatto un brillante intervento di analisi del mercato dei chip.

Ha rimarcato che “La produzione e la ricerca e sviluppo saranno più importanti per i prossimi 50 anni: costruiamo gli stabilimenti dove vogliamo”.

Con questa affermazione ha inteso sottolineare il suo profondo dissenso alla politica industriale degli Stati Uniti, che ha consentito l’esportazione della base manifatturiera nazionale in Asia.

Europa e Stati Uniti oggi detengono solo il 20% della quota mondiale di fabbriche di chip avanzati.

Il mercato all’avanguardia della produzione di chip è collocato a Taiwan: se le tensioni geopolitiche, ha sostenuto Gelsinger, dovessero continuare sarebbe una vera ricetta per il disastro.

Un blocco della produzione di Taiwan, anche soltanto per poche settimane, porterebbe di fatto all’arresto dell’economia globale, per carenza di componentistica fondamentale.

Secondo Gelsinger, le catene di approvvigionamento devono essere distribuite in America, Europa ed Asia, per garantire continuità e resilienza alla produzione.

Ha lamentato alcuni ritardi nell’esborso dei fondi da parte degli Stati Uniti per il Chips Act, il finanziamento complessivo di 250 miliardi di dollari deciso dall’amministrazione Biden per la ricerca scientifica, di cui 50 miliardi destinati ad incrementare nel territorio degli Stati Uniti la produzione di Chip.

Gelsinger ha poi fatto emergere un problema rilevante di carenza di manodopera. L’Associazione delle Industrie dei Semiconduttori americana ritiene che si creeranno entro il 2030 almeno 115.000 nuovi posti di lavoro nel settore.

Il rischio è che circa la metà rimarranno vacanti per mancanza di talenti e conoscenza da parte della manodopera statunitense.

L’avere esportato massicciamente tecnologia ha portato a scarsità di diffusione del know-how necessario, il risultato è che anche la manodopera presente nel settore proviene dall’Asia.

E le leggi attuali sull’immigrazione non consentiranno alle aziende di assumere personale proveniente dall’estero nella misura necessaria a soddisfare la domanda di manodopera.

Gelsinger ritiene che entro la fine del decennio, l’imperativo categorico degli Stati Uniti è raggiungere una quota di produzione di almeno il 50% rispetto al fabbisogno mondiale. E il legislatore dovrebbe concentrarsi su questo.

E, lo aggiungiamo noi, l’Europa dovrebbe porsi obiettivi consimili.  

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