Recessione no, inflazione sì.

Pubblicato il: 5/01/24 11:08 PM

Borse su, Borse giù.

Con i dati di giovedì sulle buste paga ADP e sulle richieste di sussidio, si era già intuito che i dati sull’occupazione americana avrebbero dato risultati molto positivi, sintomo di una economia in piena salute.

Così è stato, con una crescita di 216.000 posti di lavoro, contro un consensus di 168.000, sia pure con una rivisitazione al ribasso dei dati di ottobre e novembre di 71.000 unità (che di fatto ha azzerato il risultato di dicembre).

La retribuzione oraria media è aumentata dello 0.44% su base mensile, uno dei dati che può maggiormente dare grattacapi alle valutazioni della FED: sicuramente un dato superiore a quello che la FED vorrebbe ai fini del controllo dell’inflazione.

I potenziali rischi di inflazione, quindi, rimangono.

La reazione del mercato ai non-farm payroll è stata positiva nell’immediato. E’ servita a fermare il ritracciamento al ribasso in corso dal 29 dicembre.

Prima del dato, con gli indici europei nella consueta zona di sfasatura rispetto agli USA, l’S&P500 future si era avvicinato alla zona dei 4700 punti (minimo a 4702).

Poi il dato sull’occupazione, interpretato di primo acchito positivamente, ha fatto rimbalzare di molto il principale indice mondiale, fino alla zona di 4760.

Poi, il mercato ha cominciato a tentennare.

Una occupazione forte significa forse evitare la recessione, ma è certamente un dato che non depone a favore della definitiva cura dell’inflazione e quindi dell’abbassamento dei tassi di interesse.

Tassi che ormai vedono previsioni (a nostro avviso) iper-ottimiste (io dico: demenziali, ma sarò felice di sbagliarmi) sul 2024.

Ieri pubblicavamo le proiezioni di Goldman Sachs, e non nascondo la mia totale perplessità nel riuscire a pensare a cinque riduzioni dei tassi di interesse nei prossimi 12 mesi e a un Treasury a 10 anni all’1.7% a dicembre del 2024.

Proprio il Treasury a 10 anni ha cercato di sfondare il supporto del 4%, ma è stato fiondato sopra di nuovo al 4.04%, in parallelo alla notizia del non-farm payroll.

Così abbiamo assistito al Treasury di cui saliva il rendimento mentre le borse ugualmente salivano: uno dei due aveva torto ed erano le borse, che, a un certo punto, si sono di colpo vergognate di essere così scandalosamente rialziste in un giorno che doveva essere votato all’incertezza.

L’S&P500 ha fatto di nuovo una capriola in basso, ma, a fine sessione, è riuscito a chiudere positivo con una candela che è poco più di una Doji, e una volatilità minimo-massimo di 60 punti.

A 4731.50 c’è il 37.50% di ritracciamento dell’ultimo range (minimo del 30 novembre – massimo del 28 dicembre), e la chiusura è stata sopra quel livello.

Ora, possiamo aspettarci tre scenari possibili:

1)  prosieguo del ribasso

2)  un rimbalzo, seguito da un affondo che vada a perforare 4700, cioè un classico movimento caro agli Elliottiani di ABC correttivo

3)  la ripresa da subito del rialzo.

Di sicuro, gennaio raramente è monocolore ed è piuttosto contrastato.

Secondo i nostri algoritmi temporali, di cui parleremo meglio negli articoli del weekend, dovremmo avere due punti di inversione, uno nella settimana prossima e uno a cavallo dell’ultimo weekend di gennaio.

La volatilità, salita prima della notizia, ha rilasciato completamente la tensione immediatamente dopo.

Il Vix ha fatto un nuovo massimo di periodo appena superiore a quello del 21 dicembre ma è calato di un punto abbondante nel corso della sessione di negoziazione.

Peraltro sta facendo massimi e minimi crescenti e, come già anticipato nei giorni scorsi, siamo nella fase dove la volatilità fa figli di volatilità crescente.

L’11-12 gennaio è un punto di inversione della volatilità e coincide con un punto di inversione sulle borse: ma questo non ci aiuta a capire quali dei tre scenari sopra descritti sia il più probabile, anche se attribuisce al secondo una valenza di qualche maggiore possibilità.

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Maurizio Monti

Editore

Istituto Svizzero della Borsa